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 ARTEMISIA GENTILESCHI
 

Artemisia Gentileschi (1593-1653), figlia e allieva di Orazio Gentileschi, nasce a Roma nel 1593 e inizia a dipingere giovanissima.
Nel 1612 viene stuprata da Agostino Tassi, collega e amico paterno, già suo insegnante.

L’iter probatorio culminò nella drammatica tortura dei “sibilli” (cordicelle strette attorno alle dita), inflitta dagli inquisitori ad Artemisia per acclarare l’accertamento della verità; la pittrice non si arrende e riesce a far condannare il Tassi, riottenendo il suo onore.
Malgrado il marchio lasciatole dall’oltraggio e le chiacchiere, Artemisia sarà famosa in tutte le corti di Europa e il femminismo ne ha fatto una portabandiera.
Allieva del padre, proprio per le vicende personali che non ha mai permesso fossero dimenticate, sarà più famosa di lui. Forse per lasciarsi alle spalle lo scandalo, la pittrice sposa poco dopo il fiorentino Antonio Stiattesi e si trasferisce nella città del marito. A Firenze Artemisia esegue varie opere di chiara impronta caravaggesca, come per esempio la Giuditta e Oloferne degli Uffizi.
Nel 1621 lascia la città granducale per raggiungere il padre a Genova.

Rientrata a Roma nel 1622 vi rimane fino al 1630, quando si trasferisce a Napoli dove esegue varie opere di grande rilievo: del periodo napoletano sono anche la Nascita del Battista e i dipinti con le Storie di san Gennaro per il duomo di Pozzuoli, dove lavora in collaborazione con Massimo Stanzione.
Dalla città partenopea si allontana per soggiornare qualche tempo a Firenze, a Roma e a Londra, dove il padre si era stabilito nei suoi ultimi anni e dove Artemisia dipinge diversi ritratti di membri della famiglia reale e di nobili, ancora presenti in varie collezioni inglesi.

Muore a Napoli tra il 1652 e il 1653.